Oggi martedì 12 gennaio 2016 si è svolta la prima riunione del nuovo Consiglio dell'Istat, appena nominato dopo oltre un anno di ritardo dalla scadenza del precedente.
I consiglieri hanno incontrato a fine riunione le rappresentanze dei lavoratori. Sono intervenuti innanzitutto una collega a nome del gruppo "IV-VIII" e un'altra a nome del "coordinamento precari", dando quindi subito un'idea al Consiglio sulle priorità che l'Istituto deve affrontare.
L'intervento della FLC CGIL ha quindi evidenziato su cosa dovrà lavorare primariamente il Consiglio dell'Istat, chiedendo in particolare di valutare rapidamente l'applicazione dell'articolo 4 comma 3 del CCNL 2000-2001 per incrementare le risorse del salario accessorio. La FLC CGIL ha poi sottolineato, oltre alla vertenza del precariato e della contrattazione integrativa e delle progressioni, alcune altre questioni, che si intrecciano o si dovrebbero legare al processo di modernizzazione dell'Istituto.
Di seguito riportiamo il documento riassuntivo che la FLC CGIL ha consegnato ai consiglieri e che è stato sintetizzato nell'intervento durante la riunione.
I lavoratori e le lavoratrici dell’Istituto Nazionale di Statistica vivono da alcuni anni una situazione di sofferenza.
Questa situazione è stata determinata sia da fattori esogeni, sia da elementi endogeni.
Crediamo che i fattori esterni siano noti a tutti. Le politiche di austerità, composte di tagli e di vincoli imposti dal parlamento e dal governo alla Pubblica amministrazione e ai suoi dipendenti, soprattutto a partire dal 2008 hanno incrinato pesantemente il rapporto tra i lavoratori e lo Stato. Solo un grande senso di responsabilità ha evitato il crollo definitivo della qualità del lavoro, sempre garantita negli ultimi anni dall’Istat, che ha anzi arricchito e incrementato le proprie attività.
I continui blocchi alle assunzioni, i tagli e i vincoli all’utilizzo del fondo del salario accessorio e alla contrattazione integrativa, il reiterato blocco della contrattazione nazionale hanno determinato l’impossibilità di qualsiasi valorizzazione professionale, un impoverimento sostanziale delle retribuzioni del personale, soprattutto nei livelli più bassi, un ulteriore aggravamento del fenomeno del sottoinquadramento, una quota rilevante di personale precario senza prospettive di stabilizzazione.
Ciò in un quadro in cui permane l’evidenza folle di un Paese che non ha una politica per Ricerca e Università e, invece di concepirne il finanziamento come investimento per uscire dalla crisi, taglia le strutture come fossero pezzi di pubblica amministrazione su cui fare risparmi di spesa. A questa situazione che ha colpito la generalità della Pubblica amministrazione si è sovrapposta una condizione interna contraddistinta da incertezza, scarsa trasparenza, e in alcuni casi da una rinnovata e dannosa burocratizzazione delle procedure da parte della dirigenza.
A questo ha contribuito, con l’ultimo riordino del 2010-2011, la scelta dell’ex presidente Giovannini di investire le poche risorse a disposizione nella creazione di una nuova dirigenza amministrativa, che, lungi dal risolvere una cronica inefficienza, ha invece contribuito spesso ad acuire la distanza tra il personale impiegato nella produzione e nella ricerca e quello preposto alla gestione e al supporto amministrativo. La dirigenza amministrativa, forte di un inquadramento economico irragionevolmente alto in un periodo in cui a tutto il resto del personale sono stati chiesti sacrifici, ha interpretato spesso il suo ruolo quale mero “esecutore” delle norme più odiose del controllo amministrativo, lasciando intatte e a volte peggiorando le inefficienze della macchina burocratica, e inasprendo invece i provvedimenti adottati con logiche evidentemente punitive nei confronti del personale.
Segnaliamo a titolo di esempio, che l’archivio del personale è in uno stato di abbandono e sono sempre più frequenti i casi di documenti persi o introvabili, e gli uffici del personale sono diventati un ostacolo per i dipendenti che devono recarsi in missione, con rimborsi sottoposti a controlli e condizioni palesemente irragionevoli, che comportano ritardi di anni nell’erogazione dei rimborsi stessi.
Pensavamo che l’insediamento di vertici stabili nella gestione amministrativa avrebbe portato a una maggiore stabilità e a una ripresa di rapporti efficaci con le parti sociali.
Infatti a partire dal 2013 una cronica carenza delle figure dirigenziali di vertice, ha aggravato ritardi e blocchi all’interno dell’ente, contribuendo ad uno sconfinamento del governo amministrativo su tutto il resto dell’Istituto. La figura del direttore generale è stata assunta per oltre un anno da altri dirigenti ad interim, e per un analogo periodo la presidenza è stata affidata a un reggente. Lo stesso consiglio è stato vacante per tutto l’ultimo anno, e ancora oggi due dipartimenti su quattro sono retti ad interim.
La nomina dell’attuale direttore generale, un anno fa, invece di determinare un cambio di passo, come era auspicabile, ha prodotto scarsi risultati dal punto di vista del funzionamento della macchina amministrativa e un netto peggioramento delle relazioni sindacali, per cui a parità di scarsa competenza si è aggiunta una inutile supponenza e volontà di governo autocratico, con il risultato di impantanare la contrattazione e rinviare le scelte. In questo c’è una responsabilità diretta anche del presidente, che ha scelto di delegare completamente al direttore generale la gestione delle politiche del personale, che sono invece parte della sua precisa responsabilità, continuando ad alimentare per di più l’anomala invasione della parte amministrativa sul resto dell’attività dell’Istituto. Non è un caso che alcune questioni innovative su cui il presidente aveva dato disponibilità, come ad esempio l’allargamento e approfondimento dell’utilizzo del telelavoro e la predisposizione di un piano di risparmi con lo scopo di destinare risorse all’incentivazione del personale, atti che sono da sempre sgraditi ai dirigenti amministrativi e invece conformi all’organizzazione del lavoro in un ente di ricerca, sono stati di fatto affossati dal direttore generale.
Tra le criticità maggiori per il personale ricordiamo quelle che negli ultimi mesi ed anni le organizzazioni sindacali hanno posto all’amministrazione con frequenza più alta: la mancata valorizzazione professionale e il blocco delle retribuzioni, e la situazione senza sbocchi del personale precario.
La modernizzazione dell’Istituto, annunciata dal presidente Alleva e iniziata a partire dalla fine del 2014 - che in parte non ha trovato ancora una concretizzazione effettiva proprio per la mancata nomina fino ad oggi del Consiglio - deve per noi partire dalla soluzione di questi due grandi problemi. Segnaliamo che il progetto di “industrializzazione” legato alla modernizzazione ha due punti critici che vogliamo inoltre segnalare in questa occasione: da una parte il ruolo dei ricercatori all’interno dell’Istituto, dall’altra quello delle sedi territoriali. Si tratta di due elementi che l’Istituto non ha mai realmente affrontato e che rischiano di non trovare una soluzione con l’attuale riorganizzazione.
Durante il 2015 la Flc Cgil e le altre organizzazioni sindacali, con una grande e continua mobilitazione dei lavoratori, hanno proposto molte possibili soluzioni alla questione delle progressioni del personale dei livelli più bassi (IV-VIII), senza che esse trovassero un’azione concreta da parte dei vertici dell’Istituto, spesso adducendo come motivazione la mancanza del Consiglio. Ci aspettiamo quindi oggi che l’amministrazione investa questo Consiglio immediatamente di questo tema, a partire dal legame tra la riorganizzazione e le risorse aggiuntive che - a partire dal fondo del salario accessorio del 2015 - devono essere valutate dall’Istituto e portate a vantaggio del personale.
Un segnale che l’Istituto potrebbe dare da subito è quello di pagare immediatamente al personale l’anticipo della produttività 2014, come peraltro promesso direttamente dal direttore generale un anno fa.
Per quanto riguarda il precariato, i circa 350 lavoratori con contratto a termine che ad oggi lavorano all’interno dell’Istituto sono il vero investimento nel futuro che l’ente può e deve fare. Gli sforzi devono essere quindi rivolti a trovare soluzioni praticabili per la stabilizzazione di tutti i precari dell’Istat, che ad oggi, a causa dei vincoli legislativi, sono peraltro davvero scarse.
La modernizzazione e il censimento permanente devono essere le occasioni per chiedere al governo di consentire all’Istituto di guardare al futuro con la necessaria serenità, assumendo chi già oggi garantisce all’ente di andare avanti con la propria attività istituzionale. Il tempo per questo intervento è riferibile a questo anno, il 2016. Solo questo tipo di percorso potrà inoltre riportare in pista il tema della valorizzazione di tutti i lavoratori attraverso nuovi concorsi, permettendo all’ente di valorizzare le risorse interne e di acquisire nuovo personale. I concorsi che si stanno svolgendo, definanziati e risalenti al 2011, sono infatti insufficienti per qualsiasi fine, nonché non corrispondenti ai fabbisogni attuali. Allo stesso modo, i concorsi riservati al personale precario riguarderanno una platea pari a circa un settimo degli attuali lavoratori a tempo determinato e non possono quindi essere letti che come un primo passo verso la stabilizzazione di tutti i precari.
Il piano dell’amministrazione appare a tutt’oggi vago e pieno di incertezze anche sul piano economico, essendo legato agli esiti della riorganizzazione. Inoltre, ignora del tutto le notevoli opportunità che anche in termini di risparmio deriverebbero dall’attuazione immediata di un serio e articolato programma di estensione del telelavoro in Istat. Anche su questo punto l’amministrazione negli ultimi mesi ha rinviato la scelta di estendere le posizioni di telelavoro fino al 20%, come proposto più volte dalla Flc Cgil, a una decisione del Consiglio, che quindi ci aspettiamo affronti a breve il tema.
Sempre rispetto al progetto di modernizzazione, crediamo che finalmente debba essere dato un ruolo alla comunità interna - come previsto dal contratto nazionale - costituendo al più presto il comitato scientifico dell’Istituto, eletto direttamente dal personale, ed assegnandogli un ruolo specifico all’interno del nuovo assetto organizzativo. Questo servirebbe anche a fugare i dubbi che pone il progetto di modernizzazione così come presentato, che sembra dare all’attività di ricerca un peso specifico minore, acuendo quindi uno storico ritardo su questo piano dell’Istat rispetto ad altri enti del comparto.
Altro nodo che non sembra toccato dai progetti attuali legati alla modernizzazione è quello del ruolo degli uffici territoriali. Appare invece stringente che alla nuova modalità di raccolta e trattamento dei dati statistici si accompagnino progetti per valorizzare la statistica per il governo dei territori, come auspicato da più parti da tempo immemorabile.
Altre priorità che abbiamo già indicato nei nostri comunicati sono la riduzione dei ruoli gerarchici, progetti specifici di dematerializzazione e sburocratizzazione in grado di snellire la macchina amministrativa, interventi di internalizzazione nei processi di produzione statistica, e infine un’assoluta trasparenza nelle nomine e nel conferimento degli incarichi. A proposito della trasparenza, chiediamo che sia ripristinato, come accadeva fino a qualche anno fa, l’invio del verbale di ciascuna riunione del Consiglio alle organizzazioni sindacali e la sua pubblicazione sulla Intranet dell’Istituto.
Un ulteriore tema che sta mettendo in questi mesi in agitazione il personale riguarda le sedi di lavoro. L’Istat è attualmente articolato, a Roma, su una pluralità di sedi: 4 nel “polo centrale”, una a viale Liegi (Roma Nord-Est), una ad Anagnina (Roma Sud-Est) e una all’Eur (Roma Sud-Ovest). Ciò ha permesso storicamente un compromesso tra le esigenze organizzative e quelle di vita dei lavoratori, che hanno trovato in gran parte un’abitazione che permettesse loro di raggiungere la sede di lavoro in tempi ragionevoli. Negli scorsi mesi l’amministrazione, per rispondere alle esigenze di risparmio dettate dalla normativa, ha presentato un piano di razionalizzazione delle sedi che sarà, immaginiamo, sottoposto all’attenzione del Consiglio. Questo piano prevede a lungo termine la costruzione di una nuova sede unica (di cui si parla da oltre 30 anni), mentre nell’immediato si prevede l’acquisizione di una quinta sede in affitto presso la sede centrale (già presa dall’Istituto), la chiusura (dopo soli 5 anni) della sede di viale Oceano Pacifico (dove lavorano quasi 500 persone) e il trasloco dei lavoratori e delle lavoratrici in altre sedi, che ad oggi non sono in grado di accoglierli tutti.
Le organizzazioni sindacali Flc Cgil, Uil Rua e Anpri hanno proposto nelle scorse settimane un questionario al personale e già dai primi risultati emerge una fortissima volontà, da parte di oltre la metà del personale presente nella sede di viale Oceano Pacifico, di rimanere in quella zona, a fronte di una penalizzazione percepita, in caso di trasferimento in altra sede, nell’organizzazione lavorativa e di vita. Anche su questo chiediamo quindi al Consiglio di valutare le proposte e le criticità che saranno evidenziate dai lavoratori e dalle organizzazioni sindacali prima di prendere decisioni definitive.
Ai consiglieri la FLC CGIL ha infine consegnato alcuni documenti degli scorsi anni:
- Un documento del 2013 sul telelavoro all'Istat
- La lettera del segretario della FLC CGIL Pantaleo alla ministra Madia sull'Istat del luglio 2014
- La lettera della FLC CGIL al presidente Alleva appena nominato del settembre 2014
- Il documento unitario sulla contrattazione consegnato a dicembre 2015 al COMSTAT