Giovedì 12 ottobre si svolto, su richiesta sindacale, un nuovo incontro sul "lavoro da remoto" all'Istat, sulla base di una bozza di Linee guida predisposta dall'amministrazione.
Il lavoro a distanza, come delineato nel corso degli anni, si può distinguere nelle casistiche qui elencate:
La differenza tra le varie forme di lavoro a distanza dovrebbe risultare dal luogo dove si svolge l’attività lavorativa e dalla modalità di controllo/misurazione del lavoro.
Forma di lavoro a distanza |
Luogo di lavoro |
Misurazione dell’attività lavorativa |
Telelavoro |
Casa |
Per obiettivi |
Lavoro agile |
Variabile |
Per obiettivi |
Lavoro da remoto |
Casa |
Orario |
Coworking |
Un luogo di lavoro diverso dalla sede di assegnazione |
? |
Questa distinzione definitoria non è né univoca né universalmente applicata e ci sono enti e aziende che chiamano “lavoro agile” un’attività con controllo dell’orario, oppure “lavoro da remoto” un’attività svolta senza “cartellino virtuale”. Segno che quello che conta è l'applicazione concreta degli istituti contrattuali, non la definizione teorica.
Quello che è certo è che queste quattro modalità sono tutte applicabili e vive nell’ordinamento italiano.
Il fatto che i nuovi CCNL abbiano introdotto il lavoro da remoto esplicitando che può essere svolto nelle forme del telelavoro o del coworking, non significa – viceversa – che il telelavoro e il coworking si svolgono come lavoro da remoto. Significa solamente che il lavoro da remoto si fa da casa (come il telelavoro) o da un ufficio (come il coworking).
A questo proposito giova citare un recente parere dell’Aran, che chiarisce in modo inequivoco che il telelavoro è un’ulteriore forma di lavoro a distanza, non riassorbita dal “lavoro da remoto”, già normata prima del rinnovo degli ultimi CCNL dei settori pubblici (e infatti già presente all’Istat da anni).
Fermo restando che la scelta del lavoro agile all'Istat è irreversibile, come più volte affermato dai rappresentanti dell’amministrazione ai tavoli, e che quindi dal nostro punto di vista andrebbe solamente ampliata e resa più flessibile, rimane la decisione su se e come applicare gli altri istituti di lavoro a distanza.
Per quanto ci riguarda l’unico criterio rilevante per decidere se e come attivarli è l’interesse dei lavoratori e dell’organizzazione dell’Istat.
Esistono, come noto, esigenze personali – in alcuni casi temporanee, in altri permanenti – che rendono preferibile ed opportuno un maggiore utilizzo del lavoro a distanza, rispetto a quello ad oggi “garantito” alla generalità del personale (10 giorni al mese), così come sussistono ragioni organizzative per prevedere – sia in occasioni speciali, sia per lunghi periodi – una deroga al cosiddetto principio di prevalenza, peraltro inesistente a livello normativo, essendo le linee guida di novembre 2021 state superate dal CCNL 2019/2021 (che non lo menzionano), verso il quale dovevano “traghettare”.
Queste esigenze, che l’amministrazione ha applicato finora solo per questioni oggettive (come la mancanza di una sede a Catanzaro) o imposizioni di legge, allargandone con estrema prudenza l’applicazione per situazioni speciali, hanno portato nel corso degli anni a numerose deroghe al principio della prevalenza.
Elenchiamo un elenco, non esaustivo, di quello che è stato applicato nel corso degli anni e in parte continua ad esserlo:
Sulla base quindi dell’esperienza maturata, si ritiene ragionevole e opportuno prevedere forme di lavoro a distanza “evolutive” rispetto al lavoro agile ordinario, come più volte auspicato all’interno dei documenti di programmazione dell’Istituto (POLA e PIAO) associate alle seguenti possibili motivazioni:
Per quanto riguarda il primo punto, le linee guida sul lavoro da remoto predisposte in bozza dall'amministrazione prevedono già al punto 4 dell’articolo 4 un possibile utilizzo del lavoro da remoto, peraltro “sperimentato” in alcune occasioni nel corso degli ultimi mesi (es. rapporto annuale). Va verificato se il termine massimo previsto (“due mesi”) sia adeguato.
Per quanto riguarda il secondo punto, oltre a confermare il telelavoro speciale, le linee guida propongono al punto 3 dell’art. 4 delle linee guida, un possibile utilizzo del lavoro da remoto per condizioni mediche che sconsiglino di recarsi in ufficio temporaneamente. In questo caso riteniamo opportuno rimuovere il periodo di tempo massimo (lasciandolo decidere al medico).
Come abbiamo detto all'incontro e scritto anche nel successivo comunicato unitario, se questa opzione è legata solo a problemi di salute – peraltro temporanei – occorre prevedere invece una modalità di lavoro a distanza “ordinaria” per questioni legate ai criteri previsti dall’accordo quadro sul telelavoro[1]: distanza, figli, salute (propria o di familiari).
Questa modalità può essere semplicemente il telelavoro ordinario, oppure forme di lavoro agile “evolute” o di lavoro da remoto ulteriori o perfino una di queste opzioni, a seconda dell'attività che svolge il lavoratore. Basta che i bisogni espressi dai lavoratori trovino una risposta, che non può essere al ribasso rispetto a quella attuale.
Il feticcio della prevalenza impedisce di usare allo scopo - a quanto capiamo - il lavoro agile, come pure lo stesso Istat ipotizzava di fare 2 anni fa.
L’ostacolo principale all’utilizzo del lavoro da remoto che è posta come requisito (“ove è richiesto un presidio costante del processo”) all’art. 4, comma 2. Questa condizione va rimossa, almeno in alcuni casi, o interpretata in senso ampio, come peraltro è necessario per applicare anche le deroghe previste al comma 3 e 4 della stessa bozza di Linee guida.
Se questi ostacoli risultassero insormontabili rimarrebbe il mantenimento dell'istituto del telelavoro ordinario, per il quale in ogni caso si propone un accesso semplificato, non più “a bando”, in presenza di determinate caratteristiche (es. primi anni di vita del figlio, distanza oltre una certa soglia, necessità di assistenza di familiari con 104, condizione di salute personale precaria ma non coperta dalla legge 104 art. 3 c. 3, condizioni certificate dal medico competente o dal medico specialista…). Quello che non accettiamo è che si sopprima non un istituto contrattuale, ma un bisogno che i lavoratori manifestano esplicitamente: ne è prova che nessuno degli attuali telelavoratori ha rinunciato per scegliere il lavoro agile, nonostante la maggiore rigidità.
Occorrerebbe in generale attualizzare il criterio dei rientri previsti dalla normativa preesistente sul telelavoro. Vista la generalizzata applicazione del lavoro a distanza appare decisamente inutile e anche poco efficace prevedere meno di 3 giornate di lavoro a distanza, quindi occorrerebbe prevederne 3, 4 o 5 in accordo con il dirigente, e allungare nel tempo gli eventuali “recuperi”. L’organizzazione con rientri fissi durante la settimana appare inutilmente rigida e burocratica, se non dettata dalle attività, e quindi va lasciata all’incontro tra dipendente e dirigente, e non "cristallizzata" all'interno dell'accordo individuale. Può ad esemio risultare utile, in determinate circostanze, prevedere settimane alterne o addirittura periodi più lunghi di assenza/presenza in ufficio per una migliore organizzazione del lavoro (e per una migliore conciliazione con i tempi di vita).
Queste argomentazioni sono state poste al tavolo del 12 ottobre, ma l'amministrazione non ha sciolto i dubbi. La ricognizione delle attività che possono essere svolte con "lavoro da remoto", iniziata quasi un anno fa, non ha ancora dato esiti. Se dipartimenti e direzioni decideranno per un'interpretazione ampia (e del tutto legittima: il lavoro "per obiettivi" può essere anche misurato attraverso l'orario, quindi ciò che è "agile" può anche essere "da remoto", è il contrario che non si può fare!), il lavoro da remoto potrebbe essere utilizzato anche come sostitutivo del telelavoro ordinario. Se invece dipartimenti e direzioni decideranno che è un'opzione limitata alle attività a turno e similari, il lavoro da remoto rimarrà un'opzione per pochi e occorrerà continuare ad applicare, semplificandolo, il telelavoro ordinario.
[1] CCNQ sottoscritto il 23/03/2000. In particolare si veda l’art. 4 c. 2:
“In caso di richieste superiori al numero delle posizioni l’Amministrazione utilizzerà i seguenti criteri di scelta:
a) situazioni di disabilità psico-fisiche tali da rendere disagevole il raggiungimento del luogo di lavoro;
b) esigenze di cura di figli minori di 8 anni; esigenze di cura nei confronti di familiari o conviventi, debitamente certificate;
c) maggiore tempo di percorrenza dall’abitazione del dipendente alla sede”.