Ciao Vincenzo, innanzitutto la domanda principale, perché ti sei candidato per le prossime RSU?
Perché mi piace l’idea che a rappresentare i lavoratori siano chiamate persone che vengono democraticamente elette, e perché le RSU sono il “luogo” in cui questi rappresentanti si possono confrontare per tutelare in maniera unitaria i diritti di tutti i lavoratori, superando almeno in parte le divisioni tra le diverse organizzazioni sindacali.
L'attività sindacale è una novità per te?
Ho iniziato a interessarmi di temi legati alla ricerca appena laureato, nel 2000, contribuendo alle attività dell’ADI (Associazione dei dottorandi e dottori di ricerca), soprattutto in tema di condizioni di lavoro e aspettative dei dottorandi di ricerca. Allora contribuimmo a far divenire di dominio pubblico il tema della “fuga dei cervelli”, ma era già evidente che il problema più generale del reclutamento nel settore della ricerca (non solo pubblico) non veniva affrontato con misure adeguate. Da allora bisogna dire che nonostante la centralità del tema “ricerca” anche nel nostro paese, le cose purtroppo sono andate sempre peggiorando, ed il precariato e il sottofinanziamento della ricerca, così come lo scarso numero di ricercatori rispetto agli altri paesi avanzati, hanno assunto proporzioni inammissibili.
Quando sono entrato in Istat già da un po’ di tempo mi chiedevo “Ma cosa posso fare io da solo contro chi affossa la ricerca, l’università, la scuola pubblica?“. Ho scoperto allora che sul posto di lavoro esisteva un’opportunità concreta di agire, una possibilità di opporsi attivamente alle politiche dissennate dei nostri governi su ricerca e conoscenza: fare attività sindacale. Ho scelto di farlo con la FLC CGIL perché credevo - e oggi lo credo ancora di più - che la CGIL sia una delle poche voci di opposizione rimaste in questo paese, un’organizzazione sindacale che ha una lunga storia di lotte e rivendicazioni a tutela dei più deboli.
Com'è iniziato il tuo impegno nella FLC CGIL?
Inizialmente mi sono interessato della “amara sorte” degli idonei di concorsi pubblici banditi dal nostro istituto, le cui graduatorie sono rimaste in parte inutilizzate. Si tratta in gran parte di colleghi con formazione ed esperienza lavorativa superiori a quelle richieste per il profilo e livello in cui sono attualmente inquadrati, che magari lavorano all'Istat da molti anni. L’Amministrazione attuale ha deciso però di non affrontare fino in fondo il problema degli idonei, senza peraltro mai fornire ragioni convincenti; si è preferito semplicemente ignorare le richieste del personale.
Da quella esperienza iniziale ho capito che c'era bisogno di un impegno "a tutto campo" in difesa dei diritti dei lavoratori della ricerca. Tutti i lavoratori infatti vanno tutelati, a partire da quelli che rischiano di perdere il posto di lavoro a causa di politiche di reclutamento miopi e sciagurate, ossia nel caso dell’Istat gli oltre 400 precari che attualmente lavorano nel nostro istituto. Questo però non basta, si deve cercare secondo me anche di ridefinire il senso delle rivendicazioni che si avanzano, che spesso vengono fatte passare per “chiusure” irragionevoli o voglia di immobilismo, come nel caso della difesa dell’Art. 18 dello Statuto dei Lavoratori e nelle lotte della FIOM contro i ripetuti attacchi della FIAT alla rappresentanza sindacale e ai diritti dei lavoratori.
Infine, si deve anche riconoscere che serve come non mai la capacità di risvegliare sentimenti di solidarietà e impegno personale tra i lavoratori stessi, perché le lotte si vincono solo con il sostegno e la partecipazione di tutti.